«Il sommerso nel turismo prosegue indisturbato ed è giunto a livelli talmente di guardia da generare una minor sicurezza sociale ed il dilagare indiscriminato dell’evasione fiscale e del lavoro in nero». È stata chiara e senza mezzi termini la denuncia che il Presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, ha fatto commentando i risultati di un monitoraggio che la stessa federazione ha realizzato con l’ausilio della società Incipit Consulting e ha presentato a Rimini, alla fiera TTG/SIA GUEST/SUN, lo scorso ottobre. Ma ancora più scalpore ha fatto, molto più recentemente, la notizia secondo la quale il Governo avrebbe proposto di regolare le tariffe del colosso di sharing web Airbnb, imponendo ai proprietari che affittano sulla piattaforma una cedolare secca al 21%, ovvero una “tassa” pari a quella che si paga per i “normali” contratti di locazione. A frenare, a stretto giro di posta (elettronica), i rumors era però stato poche ore dopo lo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi il quale, scrivendo sul suo account Twitter, aveva puntualizzato: “Nessuna nuova tassa in legge di Bilancio, nessuna. Nemmeno Airbnb. Finché sono premier io, le tasse si abbassano e non si alzano #avanti”.
La questione tasse Airbnb accantonata così senza colpo ferire, dunque?
A livello di battaglia, da parte di Federalberghi, nemmeno per sogno, ma non sembra volersi arrendere alla fine della “tassa Airbnb” (come era stata subito soprannominata) nemmeno Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio. L’emendamento per la cedolare secca sugli affitti Airbnb era infatti già stato approvato in Commissione Finanze alla Camera in un’ottica di lotta all’evasione sui ricavi della sharing economy nel settore alloggi. Come riportato da “Investire Oggi”, Boccia ha quindi spiegato che «Gli emendamenti ribattezzati “Airbnb” non riguardano in realtà la multinazionale americana, che continua indisturbata a fare il suo business senza tasse, bensì consentono ai proprietari di casa di poter utilizzare la cedolare secca anche per affitti di breve periodo, i cui introiti sono, solitamente, a nero. La proposta arriva da più gruppi parlamentari, a partire dal Pd, e ne riparleremo nei prossimi giorni in commissione Bilancio». Più nel dettaglio, stando alla proposta firmata dalla deputata Pd Silvia Fregolent, i siti che fanno da intermediari tra proprietari e affittuari opererebbero come sostituto di imposta riscuotendo una cedolare secca al 21% sulla transazione. L’aliquota, inoltre, si applicherebbe a tutte le locazioni di breve periodo compresi i b&b e gli affittacamere, fatta eccezione solo per alberghi veri e propri. Non è mancato poi nemmeno l’intervento del Movimento Cinque Stelle, il cui portavoce Daniele Pesco ha accusato i democratici di accorgersi «Solo ora di un problema di emersione del nero nel settore dei soggiorni brevi. Far emergere i redditi da locazioni brevi è possibile anche attraverso una tassazione agevolata e senza quindi soffocare queste forme di sharing economy. Ad esempio abbattendo l’ipotetica aliquota del 21% fino al 10% se si paga entro 60 giorni».
“Ultima ora”
È stato dichiarato ammissibile, mentre scriviamo, l’emendamento alla legge di Bilancio proposto da Silvia Fregolent e noto come “norma Airbnb”. Il percorso della proposta proseguirà così il proprio iter, dopo essere stato approvato dalla Commissione Finanze di Montecitorio, in commissione Bilancio. La norma ora prevede l’obbligo di iscriversi in un registro ad hoc per quanti danno in affitto casa per un breve periodo, e quello, per i siti che li mettono in contatto con gli affittuari, di fare da sostituto di imposta, ovvero versare al fisco il dovuto per conto del proprietario dell’appartamento. E confermato che la norma preveda anche che dal primo gennaio 2017 il canone relativo alle locazioni di breve periodo, compresi bed&breakfast e affittacamere, sia soggetto alla cosiddetta cedolare secca, l’imposta in vigore per gli affitti, con un’aliquota al 21%. L'obiettivo è di “favorire la trasparenza nel mercato delle locazioni di breve periodo” e “assicurare il contrasto all'evasione fiscale”. In commissione Bilancio, inoltre, all’emendamento firmato da Silvia Fregolent se ne sono aggiunti altri dal contenuto simile, da parte di Cor (a firma Palese) e di Forza Italia (a firma Giorgetti, De Girolamo e Milanato).
Occhi puntati su Airbnb
E ovviamente anche lo stesso Presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, non ha mancato di far sapere il pensiero suo e dell’associazione sulla vicenda “tassa”. «Il dibattito che in questi giorni si sta sviluppando in merito alla cosiddetta “tassa Airbnb” – ha spiegato - rischia di distrarre l'attenzione dal bubbone che affligge il mercato turistico italiano, inquinato da centinaia di migliaia di alloggi che operano in completo spregio alla legislazione fiscale e alle altre norme che disciplinano lo svolgimento delle attività ricettive, danneggiando tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro, e sono tanti che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza. Basti considerare che, secondo le stime dell’ultimo “Rapporto sul turismo”, il numero effettivo delle presenze turistiche potrebbe essere di oltre un miliardo all'anno, quasi il triplo di quelle rilevate dall’Istat. L'obiettivo non dev'essere insomma quello di introdurre nuove tasse, ma di far sì che tutti gli operatori paghino le tasse nella giusta misura e rispettino le regole poste a tutela dei consumatori, dei lavoratori, della sicurezza pubblica e del mercato. Confidiamo pertanto che si faccia strada la proposta di istituire presso l'Agenzia delle Entrate un registro di coloro che svolgono attività ricettiva in forma non imprenditoriale, prevedendo che i portali debbano comunicare al fisco gli estremi di ogni transazione al fine di assicurare che anche i “furbetti dell'appartamentino” paghino le imposte, applicando le stesse regole previste per i contribuenti onesti che adempiono al proprio dovere quotidianamente». Ma come si è arrivati a tanto? «Abbiamo censito le strutture parallele che vendono camere in rete sui principali portali», ha chiarito Bocca, «e mettiamo questo elenco a disposizione delle amministrazioni nazionali e territoriali, nonché delle autorità investigative competenti, che desiderano fare luce sul fenomeno. Neanche a dirlo, l'esempio eclatante è costituito dal portale Airbnb che, in una giornata di agosto 2016, metteva in vendita in Italia 222.786 strutture (erano 234 nel 2009), con una crescita esponenziale alla quale non fa seguito una significativa variazione del numero di attività ufficialmente autorizzate (le strutture extralberghiere censite dall’ISTAT erano 104.918 nel 2009, oggi sono a quota 121.984 per una differenza di oltre 100.000 unità)».
Una questione di concorrenza
Secondo questa rilevazione di Federalberghi sono le grandi città italiane quelle maggiormente interessate dal fenomeno: primeggia Roma con 23.889 alloggi, seguita da Milano con 13.200, Firenze con 6.715, Venezia con 5.166 e Napoli con 3.040. Volendo analizzare la questione da un punto di vista “qualitativo” poi è indubbio che il boom di affitti turistici che ad esempio riguarda Milano sia nato sull’onda lunga di Expo 2015. Lo spiegano anche le recenti stime pubblicate dalla società internazionale di ricerca Pkf e presentate pochi giorni fa al seminario Rescasa sugli affitti turistici: oggi allora sono in attività circa 15.000 (dato che si avvicina molto a quello di Federalberghi, NDR) appartamenti, il 20% in più del 2015. L’offerta extra-alberghiera, conclude la ricerca, ha superato in sostanza quella degli hotel e sul mercato stanno entrando anche grandi gruppi internazionali. Per quanto riguarda poi la Capitale, spiega il presidente di Federalberghi Roma Giuseppe Roscioli che «Ancora una volta siamo di fronte ad una realtà inconfutabile: sono sempre più numerose le strutture ricettive illegali e ciò non fa altro che danneggiare ulteriormente il nostro turismo. Per questo abbiamo fatto un grosso lavoro di monitoraggio, poi messo a disposizione delle Forze dell’Ordine e del Comune per far emergere il nero che, oltre a danneggiare le casse comunali, apre al rischio sulla sicurezza dei cittadini». «Il problema non riguarda certo solo le grandi città comunque», fa eco nuovamente il presidente nazionale Bocca, «poichè ci sono località nel nostro paese nelle quali, nel periodo estivo, sono state rilevate case vacanza abusive in una percentuale del 98,5%. Questo significa semplicemente che il dato rilevabile dalle sole strutture che rispettano trasparenza e regole, non è quello reale. Nessuno vuol negare la possibilità di affittare ai villeggianti una casa per un periodo definito, ma è obbligatorio versare la tassa di soggiorno e dichiarare l’attività in toto. Altrimenti la conseguenza è immediata, ovvero ciò che stiamo vivendo nel nostro paese: milioni di euro che vanno in fumo per mancato pagamento dell’imposta e un grande potenziale perso per le nostre città. È arrivato il momento di intervenire con più forza. Non si può più tollerare che, in un periodo di crisi così forte con le risorse delle casse cittadine ridotte al minimo, si lascino proliferare strutture ricettive in regime di assoluta illegalità».
Quattro falsi miti dello sharing
E per non lasciare dubbi sulla portata del fenomeno e sulla realtà delle conclusioni negative che il proliferare dell’abusivismo porta all’industria del turismo, Federalberghi ha anche voluto racchiudere in una sorta di tabella le quattro grandi bugie che contraddistinguono le attività di cosiddetta condivisione o sharing degli alloggi.
1-Non è vero che si tratta di forme integrative del reddito: si tratta invece di attività economiche a tutti gli effetti. Oltre la metà (57,7%) degli annunci sono pubblicati da persone che amministrano più alloggi, con i casi limite di nomi di comodo, quali Bettina che gestisce 366 alloggi, Daniel (293) e Simona (260).
2-Non è vero che si tratta di attività occasionali: la maggior parte (il 79,3%) degli annunci si riferisce ad alloggi disponibili per oltre sei mesi l’anno.
3-Non è vero che si condivide l’esperienza con il titolare: la maggior parte degli annunci (70,2%) si riferisce all’affitto di interi appartamenti in cui non abita nessuno.
4-Non è vero che le nuove formule tendono a svilupparsi nei luoghi dove c’è carenza di offerta: infatti gli alloggi sono concentrati soprattutto nelle grandi città e nelle principali località turistiche, le stesse nelle quali è maggiore la presenza di esercizi ufficiali.
Conclusione?
La lasciamo ancora a Bocca: «Il consumatore è secondo noi ingannato due volte, in quanto viene tradita la promessa di vivere un’esperienza autentica e vengono eluse le norme poste a tutela del cliente, dei lavoratori, della collettività e del mercato. Senza dimenticare che dal nostro punto di vista di imprese dell’ospitalità si pone con tutta evidenza anche un problema di evasione fiscale e di concorrenza sleale. Certo non si tratta evidentemente di un problema solo italiano, ma l'Italia pur essendo un grande Paese turistico esita a prendersene cura. Molte altre mete turistiche già si sono date da fare: Amsterdam, Barcellona, Berlino, New York, Parigi e tante altre si sono già mossi adeguando le proprie regole. Allora, poiché abbiamo già anche noi in Italia un “Piano strategico del turismo” che afferma a chiare lettere la necessità di definire un quadro normativo e regolamentare che contrasti efficacemente il fenomeno dell’abusivismo, facciamolo al più presto. Passiamo finalmente dalle parole ai fatti».