C'erano una volta, nella Grande Mela, 3 piccoli hotel
Ci viene frequentemente richiesto di dare pareri e fare previsioni economico-finanziarie collegate al valore di alberghi e resort. Lo facciamo cercando di essere più precisi e attenti possibile, per non sbagliare. Ma fare previsioni affidabili alla luce degli attuali avvenimenti internazionali richiede tanta esperienza e un lungo cannocchiale … e talvolta non è sufficiente.
Per anni, ad esempio, abbiamo enfatizzato il ruolo delle catene alberghiere, esaltato gli standard, la qualità dell’alloggio e … gli hotel del Morgans Group. Prima del 2007 raccomandavamo agli albergatori “andate a New York a studiare i piccoli boutique hotel che fanno soldi a palate”. Perché nella Grande Mela c’erano 3 piccoli hotel, l’Hudson, il Morgans e il Royalton, che marciavano abitualmente tra il 95% e il 99% di room occupancy a prezzi altissimi. Uno spettacolo per gli albergatori italiani, che potevano attingere idee anche dal Delano di Miami, dal quale noi (e non solo noi) ricavammo l’insegnamento - ora popolare anche in Italia – della presentazione dei letti bianchi senza copriletto coordinato con le tende.
Ma allora - direte voi - le OTA o non esistevano o non funzionavano. Era tutto diverso, per calamitare i turisti ci volevano qualità dell’ospitalità, atmosfere speciali e bravura dei manager. Allora quegli hotel valevano due milioni di euro a camera. Attualmente il gruppo Morgans, con alberghi a New York, Miami, Las Vegas, Los Angeles, Londra, Istanbul e Doha, è in vendita: un portafoglio di 20 alberghi che sta per passare di mano (SBE Entertainment Group è l’acquirente e dovrebbe chiudere il deal entro la fine dell’anno) per circa 800 milioni di dollari. Il mito dei favolosi alberghi Morgans sembra dunque svanito e non per ragioni manageriali, ma per problemi finanziari.
Ci vuole una spintarella
La finanza ha perso negli ultimi anni interesse per gli immobili alberghieri il cui valore non cresce più al ritmo del 10 percento all’anno. La finanza non è interessata ai risultati netti di gestione perché semplicemente non bastano per retribuire i fondi che non investono mai per meno dell’11% di incremento annuale del capitale investito.
Cosa fanno invece gli speculatori immobiliari italiani? Per ora stanno fermi e il valore degli alberghi, dipendendo dai risultati di gestione (senza rivalutazione immobiliare), non cresce. Conclusione italiana: ci vuole una “spintarella” e magari l’idea di conversione dell’immobile con dei format più speculativi come i condohotel. Potrebbe funzionare, anche se non ovunque.
Eppure un grande investitore in Italia ce l’avremmo. Statuto (al netto delle ultime poco rassicuranti notizie legate al caso Danieli di Venezia) possiede i migliori hotel a 5 stelle di Milano (e non solo) e rappresenta un modello di ospitalità da cui c’è molto da imparare. Peccato che tutti i suoi investimenti, come quelli di altri fondi (italiani o stranieri), siano orientati sugli alti livelli dell’ospitalità, ovvero da 5 stelle in su. Purtroppo però quello che serve davvero in questo Paese sarebbe un rinnovamento della classe midscale, i tre stelle che rappresentano oltre la metà dell’offerta alberghiera nazionale e la cui riqualificazione (almeno di parte di loro) cambierebbe davvero il volto ospitale del nostro Paese.
Concludendo: il mercato delle compravendite è tuttora incagliato, le banche hanno i “magazzini” pieni di alberghi che non pagano più le rate ipotecarie e ci sono decine di hotel che nessuno vuole acquisire sebbene le condizioni siano più che buone.
In attesa che il ciclo riparta, le ultime notizie indicano un 2016 positivo con buoni guadagni (costi-ricavi) per le gestioni dirette degli albergatori proprietari.
A livello europeo una nota società di studi e revisioni afferma che il settore alberghiero nel breve termine vedrà crescere il proprio fatturato del 7% mentre il GOP (la differenza costi-ricavi) non crescerà più di un punto percentuale a causa delle piatte tariffe medie giornaliere. Nei maggiori capoluoghi italiani la crescita del RevPAR 2016 si aggira invece sul 3-4%.
L’occasione è buona per ribadire che l’incertezza del clima politico - dicono gli esperti - consiglia la massima prudenza finanziaria: meglio rimanere alla finestra in attesa di vere occasioni anziché di convenienti acquisizioni.