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2018

Il valore della diversità

Inclusione è la parola d’ordine del nostro tempo. Se nella società porta a una convivenza pacifica, nell’impresa porta il lavoratore a essere più motivato ed efficiente. Da anni esiste il diversity manager, figura professionale per valorizzare le diversità in azienda
 

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Nonostante si viva in un mondo sempre più aperto dove le distanze sono sempre più corte, le differenze continuano a essere motivo di conflitto e discriminazione. Anche nel lavoro capita che sorgano malesseri verso chi possiede qualità diverse da quelle di maggioranza, come l’orientamento sessuale o la religione. Oltre a un disagio del lavoratore, ciò porta danni all’organizzazione e alla produttività delle aziende. «Se gestita al meglio, la diversità è una ricchezza», spiega Valentina Dolciotti, diversity manager e autrice del libro “Diversità e inclusione. Dieci dialoghi con Diversity manager”, edito da Guerini Next. «Molte imprese», continua la manager, «hanno compreso questo valore e sono venute incontro alle esigenze dei lavoratori, valorizzandoli in tutti gli aspetti». La professione del diversity manager è nata Oltreoceano, negli anni ’80, e col tempo è arrivata anche in Italia; può essere una risorsa interna alle imprese (sotto il comparto dell’amministrazione o delle risorse umane), esterna (libera professione) o sotto le Pubbliche amministrazioni che organizzano progetti di inclusione. Il suo compito è quello di studiare le differenze e attuare programmi per migliorarne il rendimento.

Le donne: le più “bisognose” di inclusione

In cima alle categorie che necessitano di più inclusione sono le donne, che percepiscono salari inferiori rispetto agli uomini e ancora raramente si vedono nelle posizioni che contano. Secondo il rapporto “Global Gender Gap Index 2017” elaborato dal World Economic Forum, nel nostro Paese le disparità di genere sono ancora reali tanto che siamo all’82esimo posto su 144 paesi per pari opportunità. In Europa, peggio dell’Italia, sono solo Cipro (92esimo posto) e Malta (93eseimo posto). Ma le discriminazioni non si fermano qui, tanto che anche gli stranieri, le persone disabili e i lgbt (lesbiche, gay, bisex, trans) trovano situazioni difficili sul lavoro. «Per le persone affette da disabilità, la strada è ancora in ascesa», spiega Dolciotti, «perché le leggi attuali rendono difficile la loro assunzione, mentre per le persone omosessuali, qualche passo avanti è stato fatto».

I vantaggi per le imprese che investono nella diversità

L’inclusione è un fenomeno che coinvolge tutti gli attori della vita pubblica: dal mondo politico e sindacale a quello dei mass media e alle imprese. In particolare, oggi, per queste ultime, l’accettazione della diversità di genere porta vantaggi importanti in quanto migliora l’immagine dell’azienda verso l’esterno e incentiva i collaboratori a lavorare meglio. Le forme contrattuali flessibili favoriscono l’inclusione in misura maggiore e in modo più incisivo rispetto al vecchio posto fisso. Da qualche anno si sta diffondendo sempre più anche lo smart-working, che svincola il lavoro da orari e luoghi prestabiliti, facendo leva sul senso di responsabilità del lavoratore e sul rapporto di fiducia tra le parti. «Si tratta di uno strumento che facilità l’inserimento, perché il lavoratore gestisce meglio il proprio tempo e il datore di lavoro impara a fidarsi», dice Valentina Dolciotti.

Il ruolo del management e della formazione

Per portare un’atmosfera di inclusione, dove le skill di ciascun collaboratore possano essere valorizzate al meglio in un’ottica di squadra, non basta avere una buona capacità di leadership. Occorrono anche i mezzi e le persone. «Attraverso una mappatura completa del personale (provenienza, studi, famiglia) si possono conoscere le peculiarità di ciascun collaboratore e potenziarle a vantaggio anche dell’azienda», dice Dolciotti, «Per esempio, a un dipendente di madrelingua inglese o francese si può affidare un compito di interpretariato o un corso di lingua. Da parte della dirigenza, però, deve esserci fiducia e coinvolgimento. In fase di colloquio il linguaggio deve essere chiaro e diretto, in modo da mettere a proprio agio l’interlocutore e non fargli pesare la diversità. Poi, occorre dimostrarsi aperti, concedendo cambi di orari o garantendo benefit in base ai risultati. Anche eventuali caratteristiche personali che possono sembrare negative, o addirittura determinati problemi e disagi, se capiti e impiegati al meglio, possono arrecare benefici all’azienda. Per esempio, chi soffre di dislessia, condizione spesso taciuta a superiori e colleghi, risulta particolarmente abile nei lavori creativi e manuali. Anche le persone affette da A.D.H.D (disturbo da deficit di concentrazione e iperattività) possono trovare impieghi che le aiutino nel loro problema e che, allo stesso tempo, si rivelino utili per l’azienda. Per esempio, potrebbero svolgere bene mestieri in cui è richiesta una certa attività fisica, come quello dell’operaio o del meccanico, ma anche professioni dinamiche come l’animatore, o il commerciante dove c’è bisogno di una buona dose di energia e di parlantina. Un ruolo chiave lo gioca la formazione destinata alla classe manageriale. Il diversity manager deve possedere determinate capacità, sapere come approcciarsi a dipendenti e collaboratori in modo corretto e profittevole per poter dare l’esempio anche al resto del team. «Chi occupa ruoli alti deve credere nelle capacità dell’individuo e mostrarsi aperto anche se nota delle differenze», dichiara Valentina Dolciotti, «Così si dà il buon esempio e si migliora l’efficienza di tutta la squadra».

I benefici per l’azienda

Una volta ottenuto il quadro completo delle informazioni dei dipendenti, il gioco è fatto. In base agli elementi a disposizione si possono gestire al meglio tutti gli aspetti del rapporto di lavoro: dagli orari, alle mansioni fino ai premi produzione. Un cambiamento che ha alla base l’inclusione porta trasformazioni (positive) anche in altri ambiti, come nei programmi futuri e nei modelli di selezione dei candidati. Ma quanto cosa a un’impresa formare un diversity manager? Ebbene la spesa è l’ultima preoccupazione, perché spesso è sostenibile o addirittura gratis. «Non è un investimento che pesa sul bilancio. In genere è un servizio di consulenza e per le piccole medie imprese vengono organizzati corsi gratuiti per sensibilizzare il personale», spiega Dolciotti. Ma il ritorno è molto vantaggioso. Oltre a un’ottimizzazione generale delle prestazioni dei collaboratori, le imprese che si servono di un diversity manager hanno anche maggiori profitti e migliorano la loro immagine sul mercato. Da parte dei clienti c’è, infatti, sempre più interesse intorno a queste tematiche. Il consumatore di un prodotto o di un servizio, per esempio, vuole sapere da dove questi provengono e in quali condizioni si lavora. «Ad oggi», conclude Dolciotti, «l’inclusione rappresenta un valore aggiunto per tutti gli ambiti di lavoro: dagli enti pubblici fino alle multinazionali».

 

Questo articolo è stato pubblicato su MasterMeeting. Leggi anche Il valore dell'esperienza.

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